L’evoluzione del concetto di Carattere: da Reich all’Analisi reichiana contemporanea
Per Reich il carattere è la sintesi di un’organizzazione mente-corpo che va strutturandosi nei primi anni di vita; al tempo stesso, si configura come meccanismo di difesa del Sé, anche a discapito del processo di crescita e conoscenza personali. Esattamente come le resistenze nel processo psicoanalitico, il carattere è funzionale nell’economia di vita di un individuo: l’essere umano reagisce alle esperienze dolorose o negative in base al proprio modo d’essere, selezionando risposte che attingono ad atteggiamenti riconoscibili e abituali, tanto più limitati e rigidi quanto più il carattere si mostra essere di tipo nevrotico. Tali pattern stereotipati cristallizzano in una gabbia neuromuscolare e tutto ciò riconduce a un sistema psico-biologico vissuto e agito come schermo contro il mondo: il carattere diventa appunto lo scudo psico-fisico con cui ogni bambino reagisce alle frustrazioni e i limiti imposti dall’ambiente familiare, sociale, culturale; dietro tale scudo, l’adulto continua a proteggersi, inibirsi, nascondersi. Quando Reich parla di armatura caratteriale o di corazza muscolare, sottolinea la reattività del soggetto a situazioni conflittuali attraverso un processo di irrigidimento psichico e fisico: un meccanismo di protezione che attinge alle nostre risorse energetiche della per mantenersi attiva ma, cronicizzandosi, si trasforma in un impedimento al raggiungimento del Sé.
Nella visione dell’Analisi Reichiana contemporanea il carattere è l’insieme dei segni incisi, vale a dire la risultante di tutte le esperienze attraversate dal soggetto, a partire dal suo concepimento fino all’adolescenza e oltre, e che hanno lasciato traccia nei diversi livelli corporei sulla base della loro prevalenza e in relazione alla salienza dello specifico evento di vita. Il carattere rappresenta la forma del Sé e racconta il modo di stare al mondo peculiare di ogni individuo, il come lo stesso si interfacci e interagisca con l’Altro da sé, sulla base dei tratti che si sono andati stratificando corporalmente durante lo sviluppo ontogenetico. Non c’è dunque valenza positiva o negativa, possiamo piuttosto evidenziare quanto il carattere assolva a due funzioni basilari: adattiva, consentendo a ognuno di noi di rispondere a stimoli che l’ambiente ci fornisce, ed espressiva, perché ogni persona si racconta attraverso il suo carattere (e ogni carattere racconta la persona). In base a questa prospettiva, decade l’idea di un temperamento con cui ci affacciamo al mondo: la personalità dell’individuo non è un elemento innato e predeterminato su base genetica ma si va a strutturare lungo la freccia del tempo evolutivo, specialmente in quel periodo critico in cui la plasticità neuronale è massima, biologicamente pre-disposta all’apprendimento e alla sua organizzazione, vale a dire dalla fase intrauterina alla pubertà.